A conclusione dell’ennesima stagione di caccia, una riflessione sull’assurdità di questa pratica, che distrugge dove invece ci sarebbe da ricostruire e tutelare.
Da quando abbiamo avviato il nostro progetto di agricoltura biologica e agroecologia abbiamo messo al centro la ricostruzione dell’habitat, con lo scopo di far tornare nelle risaie animali sempre più rari in queste campagne industrializzate. Lo abbiamo fatto – e continuiamo a ribadirlo ogni volta che l’ennesima stagione di caccia si consuma anche dalle nostre parti – perché crediamo fortemente che l’agricoltura debba smettere di fare la guerra alla natura, e che anzi debba ricominciare a vivere in simbiosi con essa.
Gli animali selvatici nella stagione della caccia
Gli animali selvatici, in questa battaglia, sono degli alleati preziosi, perchè ci aiutano a contenere molti ospiti indesiderati, come nutrie e topi. Cacciarli, dunque, è dannoso e violento. Pericoloso e profondamente insensato.
La volpe rossa (Vulpes vulpes), ad esempio, pur essendo in grado di assolvere perfettamente a questo compito, da noi gode da sempre di una pessima reputazione.
“La volpe, in Italia come in altri Paesi europei, non se la passa affatto bene. Essendo un carnivoro, uno dei pochi rimasti tra la fauna selvatica autoctona e quindi con un ruolo regolatore importantissimo, tanto da essere riconosciuto anche nella legge 157/92, è considerato un naturale competitor degli innaturali cacciatori umani armati di fucile. Pertanto, è inserito tra le specie cacciabili, pur non venendo mangiata, e nei calendari venatori è tra quelli più bersagliati” (Fonte: vittimedellacaccia.org).
Una situazione assurda e pericolosa
Infatti, nonostante oggi si sappia che molti predatori hanno effetti benefici sull’agricoltura e perfino sulla nostra salute – contenendo, come dicevamo prima, le popolazioni di roditori e insetti – e nonostante non ci siano dati scientifici relativi a un effettivo impatto negativo delle volpi su animali domestici e selvatici, in Italia, ogni anno, ne vengono abbattute migliaia.
Il principale motivo sarebbe che questi canidi sono ritenuti dai cacciatori indesiderati competitori nella cattura della selvaggina, in particolare della selvaggina di allevamento destinata all’uso venatorio (fagiani).
La cogliete anche voi, l’assurdità di tutto questo? Soprattutto perché, nella già citata Legge, c’è scritto che:
“L’esercizio dell’attività venatoria è consentito purchè non contrasti con l’esigenza di conservazione della fauna selvatica e non arrechi danno effettivo alle produzioni agricole” (Articolo 1, comma 2).
Il ruolo della caccia nella perdita di biodiversità
Inoltre “la caccia continua a rappresentare una delle principali cause di perdita di biodiversità e diffusione delle illegalità. Uno studio commissionato dal Wwf dimostra come in coincidenza del periodo di apertura della caccia aumenti in maniera esponenziale il numero di esemplari appartenenti a specie protette (soprattutto rapaci) che vengono ricoverati nei centri di recupero animali selvatici dell’Associazione, come Vanzago e Valpredina, in Lombardia” ha spiegato Dante Caserta, Vice Presidente di Wwf Italia (Fonte: ANSA).
Un altro dato che lo dimostra è quello diffuso dall’Unione internazionale per la Conservazione della Natura (Uicn), secondo cui sono 28.338 le specie attualmente a rischio estinzione. Ossia il 27% (+6% rispetto all’anno precedente) di tutte quelle mondialmente conosciute (dati aggiornati al 2019).
I principali motivi di questo tracollo drammatico?
I cambiamenti climatici, certamente, ma anche la pesca e la caccia intensiva.
Perché nonostante il numero di cacciatori sia fortemente diminuito nel corso dei decenni anche in Italia – dove siamo passati da 1,7 milioni quarant’anni fa a poco meno di 500mila nel 2017, di cui 62mila solo in Lombardia secondo il “Rapporto sullo stato delle foreste e del settore forestale in Italia” del Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali – questa pratica continua a provocare danni che a breve si riveleranno irreparabili.
La rabbia di sentirsi piccoli e impotenti…
Ogni volta che una stagione venatoria si conclude, noi qui in Cascina torniamo a respirare.
Le campagne che ci circondano smettono di odorare di morte, e i suoni che ricominciano a sentirsi sono quelli che preferiamo. Il fruscio delle foglie, i versi degli animali, il ticchettio della pioggia.
Insieme a tutto questo, però, restano anche la rabbia di dover raccogliere centinaia di bossoli sparsi ovunque, che sporcano e inquinano, e l’amarezza di non essere ancora riusciti a contenere il fenomeno. O a far valere il nostro diritto di vietare la caccia sui terreni di proprietà.
… Insieme alla speranza di vedere la natura che combatte insieme a noi
“Pensavamo di aver toccato il fondo. E invece no. Siamo caduti ancora più in basso, oltre ogni limite, inimmaginabile da chi è dotato di un minimo di onestà intellettuale e sensibilità civile” diceva Piero Belletti.
La fauna selvatica ha bisogno di essere protetta, ma né la Regione Lombardia né lo Stato se ne interessano, tralasciando di far rispettare le poche leggi esistenti in materia.
Noi comunque restiamo dei sognatori. E vogliamo continuare a credere che un futuro diverso, impegnandoci tutti per costruirlo, sia possibile.
Spesso, infatti, ci sentiamo una goccia nel mare, ma poi succedono cose che ci fanno tornare a sperare.
Qualche mese fa, ad esempio, ci siamo imbattuti con sorpresa e meraviglia in un tarabuso. Un airone a rischio estinzione intento a cacciare tra i nostri campi, dove ancora crescevano le erbe del sovescio.
Un evento straordinario, reso possibile grazie all’impegno dell’associazione Burchvif, che ha salvato l’ultimo canneto della Lomellina, habitat ideale per la sua nidificazione.
Offrire agli animali selvatici spazi dove trovare cibo e rifugio è uno dei nostri impegni quotidiani.
La natura se ne sta accorgendo, e sentirla vicina in questa battaglia è la nostra speciale, emozionante e rigogliosa ricompensa.