La natura ci chiede a gran voce di cambiare prospettiva. Di rallentare il passo. E l’agricoltura rigenerativa è l’unica strada da percorrere per riuscirci.
Lo ripetiamo spesso. Per noi non si tratta più solo di coltivare senza utilizzare prodotti chimici di sintesi – sostituendoli magari con prodotti di derivazione naturale – ma di cambiare il modo di intendere l’agricoltura. In noi e nelle persone con cui entriamo in relazione. Come esseri umani dobbiamo prepararci, in campo e nella vita, ad effettuare un passaggio necessario: quello da una mentalità “estrattiva”, di sfruttamento delle risorse, ad una rigenerativa. Di rispetto e conservazione di tutto ciò che vive e cresce sulla Terra.
L’agricoltura rigenerativa, che collabora con la natura anziché dominarla, è quindi l’unica base stabile su cui immaginare di costruire il futuro.
Cosa si intende per agricoltura rigenerativa
Robert Rodale, figlio di JI Rodale, ha coniato il termine “biologico rigenerativo” per definire un tipo di agricoltura che va oltre la sostenibilità.
L’agricoltura biologica rigenerativa, infatti, non si limita a preservare le risorse: le migliora.
“Alla radice di questo approccio c’è l’idea di collaborare con la natura – abbandonando la volontà di dominarla – allo scopo di rigenerare i suoli. Senza impoverirli e inquinarli, come invece avviene quando si applica un’agricoltura intensiva molto aggressiva con l’uso di fertilizzanti, agrofarmaci e forte movimentazione dei terreni.
Se l’attenzione di chi produce si concentra essenzialmente sulle rese in termini di quantità è pressoché inevitabile il progressivo deterioramento dei terreni, che vengono demineralizzati, dilavati e biologicamente intaccati dalla forte meccanizzazione, e non di rado anche caricati di residui di erbicidi e antiparassitari” (Fonte: Il giornale del cibo).
Un metodo, una visione
L’agricoltura rigenerativa si basa dunque su tre principi di base:
- la diversificazione colturale, per ampliare il numero delle famiglie botaniche a contatto con il suolo e migliorarne di conseguenza la struttura grazie all’azione delle radici
- la riduzione (se non eliminazione) delle lavorazioni, per proteggere l’habitat e la ricchezza biologica degli organismi che popolano il terreno. Limitando al massimo anche il consumo di carburanti
- la copertura del suolo con i residui delle coltivazioni, per trattenere l’acqua e fissare gli elementi nutritivi.
Il tempo dell’attesa…
Con l’agricoltura rigenerativa si tratta proprio di cambiare prospettiva. Di regolare gli orologi dello sguardo, della pancia e del cuore su ritmi diversi e più lenti. Di rivedere l’ordine delle priorità e di praticare davvero l’equità e la sostenibilità senza accontentarsi delle sole parole.
Perché, come il Movimento della Decrescita Felice ribadisce da anni e con forza, “i segnali sulla necessità di rivedere il parametro della crescita su cui si fondano le società industriali continuano a moltiplicarsi. L’avvicinarsi dell’esaurimento delle fonti fossili e le guerre per averne il controllo, i mutamenti climatici. Lo scioglimento dei ghiacciai, l’aumento dei rifiuti, le devastazioni e l’inquinamento ambientale. Eppure gli economisti e i politici, gli industriali e i sindacalisti con l’ausilio dei mass media continuano a porre nella crescita del prodotto interno lordo il senso stesso dell’attività produttiva. In un mondo finito, con risorse finite e con capacità di carico limitate, una crescita infinita è impossibile. Anche se le innovazioni tecnologiche venissero indirizzate a ridurre l’impatto ambientale, il consumo di risorse e la produzione di rifiuti” (Fonte: “La decrescita felice – La qualità della vita non dipende dal PIL”).
… Dell’umiltà…
L’attivista statunitense Charles Eisenstein, uno dei promotori di riferimento dell’agricoltura rigenerativa, si è espresso così in un articolo di qualche anno fa ma ancora attuale su The Guardian: “L’agricoltura rigenerativa rappresenta più di un cambiamento di pratiche. È anche un cambiamento nel paradigma e nel nostro rapporto di base con la natura, come confronto con i punti salienti della geoingegneria. (…) L’agricoltura rigenerativa non può essere attuata su larga scala senza profondi cambiamenti culturali. Dobbiamo voltare le spalle da un atteggiamento di natura-come-oggetto-ingegneria a uno di umile collaborazione. Mentre la geoingegneria è una soluzione globale che alimenta la logica della centralizzazione e l’economia del globalismo, la rigenerazione del suolo e delle foreste è fondamentalmente locale: foresta per foresta, fattoria per fattoria”.
… E della gratificazione
Una precisazione doverosa, a questo punto: rigenerativa non significa improduttiva. Al contrario. Se, infatti, la conversione a questo tipo di agricoltura richiede dai 3 ai 5 anni per un suo pieno compimento, è scientificamente provato che le rese di questo metodo superino spesso quelle dell’agricoltura convenzionale.
Il che cambia davvero le carte in tavola, costringendoci tutti ad una riflessione profonda sul significato da attribuire alla sostenibilità, ma anche alla crescita.
E la crisi climatica?
L’agricoltura rigenerativa ha inevitabilmente a che fare anche con i cambiamenti climatici, ma nel modo migliore che si possa immaginare. Questo metodo, infatti, se venisse applicato ovunque potrebbe fare fronte addirittura al 40% delle emissioni mondiali.
Un dato che sarebbe significativo anche in situazioni molto meno gravi e delicate di quella che stiamo vivendo attualmente.
Lo scorso 29 luglio, infatti, ha coinciso con l’Earth Overshoot Day: quel giorno la Terra ha ufficialmente esaurito le risorse naturali rinnovabili annuali ed ha cominciato il sovrasfruttamento, andando ad appesantire un debito ecologico già drammatico.
Il Global Footprint Network, responsabile di questa misurazione, ha anche calcolato che, sulla base della situazione attuale, ci vorrebbero 18 anni di totale inutilizzo delle risorse terrestri per compensare i danni provocati fino ad ora. Supponendo che i danni risultino reversibili. Quanto vogliamo ancora aspettare?
Conclusioni: l’agricoltura rigenerativa come scelta necessaria
Certi numeri e certe statistiche possono fare paura. E possono addirittura essere controproducenti, perché provare un senso di impotenza davanti a certi fenomeni è pressochè inevitabile. È però solo dalla consapevolezza che può innescarsi il vero cambiamento.
Noi, come esseri umani e come agricoltori, cerchiamo di vivere su questa terra con passo lieve. Riducendo il nostro impatto sull’ambiente attraverso scelte di vita e di consumo in linea con la nostra etica e con il nostro sentire.
L’agricoltura rigenerativa è una di queste scelte. La più urgente, la più necessaria di tutte.