Sovescio: protezione e nutrimento sostenibili per la terra

Sovescio: protezione e nutrimento sostenibili per la terra

Una pratica gentile, una tecnica di concimazione a impatto zero, una dichiarazione d’indipendenza dalla chimica più aggressiva. Ecco il sovescio secondo noi!

 

Partiamo da una definizione.

Il sovescio è una tecnica di concimazione verde impiegata per aumentare la fertilità del terrenoLa tecnica del sovescio consiste nel concimare un terreno, interrandovi colture erbacee in purezza o consociate, per arricchire un terreno carente di sostanze nutritive fondamentali per il fabbisogno delle piante, quali per esempio l’azoto. Considerata anche a livello ministeriale una buona pratica agricola (MIPAAF – D.M. 19 aprile 1999), la pratica del sovescio è pari a quella della preparazione del terreno, della rotazione e dell’impiego dei mezzi tecnici in agricoltura. Il sovescio, di fatto è di facile applicazione, e produce grandi risultati, per la positiva influenza sulle caratteristiche chimiche, fisiche e microbiologiche del terreno. Può essere considerato come soluzione fondamentale, anche, per le aziende che non hanno zootecnia, poiché la pratica del sovescio è in grado di produrre enormi quantità di azoto a costi decisamente contenuti ed in modo eco-sostenibile, rispetto all’azoto apportato con mezzi tecnici, di tipo sintetico” (Fonte: Agricultura.it).

 

Una tecnica, infiniti vantaggi

Per tutti i motivi che avete appena letto, a Cascina Bosco crediamo molto nel valore di questa procedura gentile, e la pratichiamo da sempre.

Prima di seminare le colture da sovescio però lavoriamo superficialmente il terreno con un erpice, un macchinario che, diversamente dall’aratro, ci consente di smuovere solo il primissimo strato del terreno macinando la paglia e facendo emergere la terra, in modo che i semi possano attecchire più facilmente.

Una volta completata questa attività ci dedichiamo al sovescio vero e proprio seminando avena, veccia, loietto, colza e trifoglio, che quindi non raccogliamo e non vendiamo ma che utilizziamo a favore delle piante da reddito (riso e miglio, nel nostro caso) per migliorare progressivamente la fertilità del suolo su cui farle crescere.

 

Queste colture di copertura (o cover crops) infatti:

  • trattengono l’azoto già presente nella terra, evitando perdite per dilavamento
  • fissano l’azoto atmosferico e ne aumentano così la presenza nel suolo (soprattutto le leguminose come la veccia e il trifoglio)
  • effettuano, con i loro apparati radicali, una vera e propria lavorazione del suolo, arieggiandolo e contribuendo alla creazione degli interstizi. Il che favorisce una gestione conservativa dei terreni, rendendo non necessarie lavorazioni come l’aratura
  • salvaguardano il terreno dagli effetti disgreganti provocati dalle piogge battenti e dai fenomeni di erosione provocati dal vento
  • tolgono luce alle infestanti, che si sviluppano molto meno rispetto a un terreno nudo. Le radici di alcune cover crops come la colza liberano inoltre sostanze che contrastano i parassiti
  • nutrono a tutti gli effetti la vita del terreno, che è costituito da una miriade di microorganismi come artropodi, batteri e funghi, che in questo modo riescono a svilupparsi e a prosperare, cosa che nei terreni nudi succede con molta più difficoltà.

 

Dal sovescio alla chimica, senza un reale perchè

I vantaggi derivanti dai sovesci, dunque, sono davvero tanti ed evidenti. Eppure… Eppure, con il passaggio alla chimica, questa pratica è caduta in disuso.

Il problema è che la chimica peggiora la qualità dei suoli, rendendo i coltivatori dipendenti da… altra chimica. E innescando un circolo vizioso che negli anni ha provocato ai terreni danni che rischiano di rivelarsi difficilissimi da correggere, se non irreversibili.

Secondo le stime più recenti infatti il 33% dei suoli coltivati nel mondo, oggi, ha perso tra il 25 e il 75% del proprio stock di carbonio originario, rilasciato in atmosfera come CO2, a causa di pratiche agricole che hanno causato il degrado della sostanza organica.

Un fenomeno, questo, rispetto al quale la strategia “From Farm to Fork” e la Strategia Biodiversità, lanciate entrambe dalla Commissione Europea nel maggio 2020 nell’ambito del Green Deal, hanno individuato degli obiettivi precisi e non prorogabili: raggiungere entro il 2030 la riduzione del 50% dell’uso e del rischio di pesticidi, di almeno il 20% dell’uso di fertilizzanti e del 50% delle vendite di antimicrobici per l’allevamento animale e l’acquacoltura. Come? Investendo su pratiche – definite come “eco-regimi” nella nuova Politica Agricola Comune (PAC) della Commissione – tra cui, non a caso, l’agricoltura biologica, la rotazione delle colture con leguminose ed i sistemi di allevamento a base di erba.

Perché poi, quando una strategia funziona, fa bene e non impatta, è lì che si tende a tornare.

 

Conclusioni

È indubbio: la permacultura richiede grandi capacità, da parte dell’agricoltore, nel gestire un elevato numero di informazioni e di elementi. Gli erbai vanno composti in modo diverso, con piante diverse, a seconda delle necessità del campo, della coltura precedente e di quella che verrà.

Il sovescio, dunque, non è una pratica che si può improvvisare. Ma è qualcosa di così profondamente sano, giusto e – come ci piace dire – gentile nei confronti della terra, a cui chiediamo tantissimo ogni giorno, che forse varrebbe proprio la pena di ripristinare.

Anzi, niente forse: ne vale la pena e basta.

Noi, per esempio, che non utilizziamo nessun concime (neppure quelli consentiti in agricoltura biologica), abbiamo colture di copertura in ogni campo, e dove da anni applichiamo la minima lavorazione al posto dell’aratura grazie al sovescio troviamo il terreno abitato dai lombrichi. Un segnale inequivocabile dello stato di salute – sempre migliore – del suolo che ci circonda.

Potreste immaginare messaggio più bello e motivante di questo?