Agricoltura biologica come e perché. Facciamo il punto

Agricoltura biologica come e perché. Facciamo il punto

Ecco una definizione di agricoltura biologica e un approfondimento sul suo significato profondo, sui suoi costi e sull’impatto che questa scelta può avere sull’ambiente. Buona lettura!

Quello in cui viviamo oggi, fortunatamente, è un contesto in cui l’attenzione verso la questione ecologica è in crescita, tra i produttori ma anche e soprattutto tra i consumatori. Le conseguenze dei cambiamenti climatici, d’altra parte, sono sempre più evidenti e rappresentano una sfida non più rimandabile. La transizione ecologica è qualcosa che dovrà necessariamente avvenire, e a tutti i livelli. Rispetto a queste problematiche l’unica opzione che abbiamo è infatti quella di agire sistematicamente, facendo in modo che ognuno progetti e realizzi – in autonomia ma in profonda sinergia con gli altri – la propria “conversione”. Attraverso, tra le altre azioni, l’agricoltura biologica.

Un equilibrio sottile, una scelta quotidiana

Quella della produzione biologica è una scelta da confermare ogni giorno, ma anche un settore in cui non ci si può ma dire arrivati.

Oggi più che mai, anzi, è davvero importante che chi lavora nel biologico si interroghi sulla capacità di questo tipo di agricoltura di rispondere alle crescenti esigenze di qualità e certezza del consumatore e alla necessità di un approccio che sia veramente innovativo e sostenibile. Aperto al cambiamento, con filiere più organizzate e con operatori più capaci dai punti di vista tecnico e gestionale.

L’equilibro da ricercare e mantenere, come sempre, è sottile. E in questo caso si muove tra l’opportunità di perseguire la crescita e la necessità di mantenere la credibilità del sistema senza venire meno ai propri principi, indicati nel nuovo Regolamento UE 848/2018, entrato in applicazione il 1° gennaio 2021.

Questo articolo però non vuole essere un’elucubrazione fine a se stessa sul biologico e sulle sue mille peripezie. Piuttosto, crediamo sia importante fare il punto sul suo significato e sui contorni che questa scelta ha assunto per noi.


In attesa, naturalmente, di conoscere anche il vostro punto di vista!

Ma partiamo da qui: cosa vuol dire agricoltura biologica?

L’agricoltura biologica è un metodo di produzione che non utilizza sostanze chimiche di sintesi, conserva e migliora le caratteristiche del suolo, rispetta le forme di vita e gli organismi utili. In modo da salvaguardare la salute dell’ambiente, del consumatore e dell’agricoltore stesso” (Fonte: Agricoltura nuova).

Concretamente, agricoltura bio significa dunque questo. Niente OGM, niente sostanze chimiche a favore di compost e letame, rotazione stagionale delle colture, salvaguardia degli insetti e pacciamatura, ossia copertura del terreno con erba fresca o fieno per isolarlo termicamente e inibire la crescita di erbe infestanti.

Chi intende praticare un’agricoltura biologica deve attenersi a requisiti precisi – definiti nel Regolamento citato poco fa – e potrà utilizzare sui suoi prodotti il relativo marchio “Eco-leaf”, rilasciato dall’Unione Europea, solo dopo un attento e scrupoloso processo di controllo condotto da organismi autorizzati dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali (Mipaaf).

L’obiettivo di queste rilevazioni – che si svolgono con frequenza almeno annuale – è verificare che l’azienda continui a rispettare i requisiti alla base della certificazione. Quest’ultima infatti può eventualmente essere ritirata in caso di infrazioni al Regolamento.

Una nota, a chiusura di questo paragrafo, è doverosa.

Sono davvero moltissimi, per non dire innumerevoli, i marchi che sfruttano la parola “bio” – oppure “green”, oppure ancora “sostenibile” – a scopo di marketing senza avere alle spalle alcun tipo di certificazione. Anche perché, come dicevamo all’inizio, l’attenzione verso queste modalità di produzione è crescente. Negli ultimi 10 anni, nel nostro Paese, le aziende di produzione e di trasformazione di prodotti bio sono complessivamente raddoppiate. E contemporaneamente anche le superfici destinate al bio sono cresciute del 60%, mentre il valore del mercato in Italia ha raggiunto i 2,5 miliardi di euro” (Fonte: Ansa).

Da consumatori però possiamo scegliere diversamente, utilizzando come “bussola” della nostra ricerca il marchio Euro-leaf, che si troverà solo sui prodotti da agricoltura biologica che hanno davvero investito su un approccio verificabile e verificato.

Perché il biologico costa di più?

Il biologico – quello vero, che parla un linguaggio legislativo e burocratico condiviso ed è in grado di superare anche le analisi più scrupolose – è in assoluto il settore più controllato di tutto l’agroalimentare italiano. E si porta dietro, anche per questo, una serie di costi aggiuntivi che inevitabilmente hanno delle ricadute sul prezzo finale richiesto ai consumatori. Tre su tutte:

  • il costo della maggiore quantità di lavoro necessaria a produrre in maniera efficace e a proteggere il raccolto dai parassiti senza ricorso a concimi di sintesi e diserbanti
  • il costo della fascia di rispetto tra campi convenzionali e campi biologici
  • i costi della certificazione e della burocrazia.

Questo tema però ne solleva un altro, ben più radicato e doloroso, e se possibile meno noto: il crollo, nel corso degli ultimi decenni, dei prezzi dei prodotti alimentari “convenzionali”. Una tendenza che ha letteralmente distrutto l’agricoltura e che ha costretto gli agricoltori ad usare enormi quantità di prodotti chimici per aumentare la produzione e ridurre l’impiego di persone in campagna.

Scegliere alimenti biologici significa dunque ribellarsi ad una schiavitù che è innaturale quanto quella degli esseri umani: la schiavitù delle piante. A cui stiamo chiedendo sforzi non giustificabili, soprattutto alla luce di tutto il cibo che poi, una volta prodotto, viene sprecato.
Secondo quanto riportato nell’Indagine ‘Cibo e innovazione sociale’ di Fondazione Feltrinelli, “in Italia ogni persona spreca 27,5 kg di cibo all’anno. Mentre lo spreco alimentare di un punto vendita si aggira intorno alle 220mila tonnellate all’anno, che corrispondono a circa 2,89kg all’anno per persona” (Adnkronos).

Attenzione: “biologico” e “sostenibile” non sono sinonimi

L’agricoltura biologica, per tutti i motivi descritti sino a qui, non è dunque soltanto un sistema di produzione a basso impatto ambientale, che rifiuta tecniche come l’ingegneria genetica e sostanze di sintesi petrolchimica come diserbanti, concimi azotati e antiparassitari.

L’agricoltura biologica è un modello di sviluppo agricolo più attento ai rapporti dell’uomo con l’ambiente e ai rapporti dell’uomo con altri esseri umani e con gli animali, di cui ha a cuore la salute e il benessere.

Quindi biologico uguale sostenibile? Non sempre.

Un prodotto biologico è qualcosa che, in modo tracciabile, dimostrabile e trasparente, non ha danneggiato l’ambiente o le persone, in nessuno dei processi necessari alla sua realizzazione, nonché un prodotto il cui smaltimento futuro non rappresenta un problema ambientale. 

Tracciabile, dimostrabile, trasparente. La differenza sta tutta qui.

Per i prodotti sostenibili, infatti, non esiste al momento alcuna certificazione. Alcun organismo di controllo capace di accertarne le caratteristiche. Alcuna autorità superiore che “diriga il traffico” sull’utilizzo di questa espressione e che lo consenta solo a chi davvero sta operando nel rispetto della natura e dei suoi abitanti.

Di nuovo, il marchio Euro-leaf può essere il nostro alleato nella selezione delle realtà veramente responsabili.

La nostra scelta: l’agricoltura biologica conservativa

Nella nostra azienda biologica pratichiamo un particolare tipo di agricoltura bio: l’agricoltura biologica conservativa. Cerchiamo infatti di fare il minor numero di lavorazioni possibili al fine di incentivare i meccanismi di auto fertilità del suolo e tutelare la biodiversità. Inoltre, un ridotto numero di lavorazioni in campo significa minore consumo di carburante e quindi minori emissioni di CO2.

Il nostro progetto va di fatto al di là del biologico. Anche perché, oltre a coltivare cereali e legumi senza l’utilizzo di concimi, erbicidi e antiparassitari, ci impegniamo nella ricostruzione dell’habitat naturale, fortemente minacciato da decenni di monocoltura e pesticidi. Vogliamo lasciare alle piante la libertà di vivere secondo i propri ritmi. Senza spingerle a produrre il massimo per poi dover utilizzare prodotti con cui tamponare gli effetti negativi dati dalla forzatura delle coltivazioni.

Infine, vogliamo proteggere gli animali e le piante e lavorare in sinergia con essi! Ci sono studi che indicano che il 70% di perdita di biodiversità terrestre dipende da fattori legati all’agricoltura. Non a caso, in uno dei nostri campi, dove le erbe del sovescio erano molto alte, una coppia di tarabusi – gli aironi più rari d’Europa – ha fatto il nido. Dopo aver consultato degli amici naturalisti e l’ornitologo dell’Università di Pavia, il Professor Giuseppe Bogliani, abbiamo concordato di lasciarlo lì, evitando di lavorare in quel punto. Adesso speriamo che anche quest’anno continuino a covare e ci presentino presto i loro cuccioli.

Conclusioni

Quello dell’agricoltura biologica – lo avrete capito – è un tema complesso, che in questo articolo abbiamo cercato il più possibile di circoscrivere in vista degli approfondimenti in programma per le prossime settimane.

Molti degli aspetti che caratterizzano questo approccio li abbiamo appena sfiorati, ma ci auguriamo di essere riusciti a trasmettere il concetto che più ci sta a cuore. Il mondo in cui viviamo è affaticato e stanco a causa dei livelli di consumo a cui, quasi senza accorgercene, siamo arrivati. Ora però è il momento di cambiare.

Valorizzando e ricercando, più che il risparmio e la velocità, aziende e soluzioni che rispettino davvero l’ambiente e le persone. E che si impegnino, con onestà e trasparenza, a ridurre il proprio impatto sugli ecosistemi. E il biologico è la direzione giusta da seguire in questo processo.

Migliorare è un procedimento complesso, perché spesso vuol dire spingersi là dove non ci sono mappe o le vecchie regole non funzionano. Bisogna rischiare sperimentando, abbandonando il concetto che deve essere tutto previsto e calcolato a priori, ma scoprire mentre si realizzano, quali sono le cose che funzionano di meno, farne tesoro e, magari, abbandonarle in fretta” (R. Duranti).