Una pratica gentile che nutre il terreno e permette al Rosa Marchetti di crescere rigoglioso. La pacciamatura verde è l’esempio dell’agricoltura che preferiamo.
In queste giornate di rallentamento generale e cali di attenzione, abbiamo pensato di approfondire una pratica che ad un primo sguardo potrebbe sembrare lenta… Ma che in realtà nasconde dentro di sé una vivacità affascinante. Ci riferiamo alla pacciamatura verde, che rende possibile per il nostro riso Rosa Marchetti una crescita rigogliosa, rispettosa e sostenibile.
Rosa Marchetti: ecco cosa lo rende così speciale
A questo punto sentiamo di poterci sbilanciare. Il Rosa Marchetti è in assoluto il nostro riso preferito, e non solo perché è antico e profumato, ma anche perché ha una storia decisamente unica nel suo genere. Insieme a caratteristiche che lo rendono particolarmente affine alla coltivazione non invasiva che ci impegniamo ogni giorno a praticare.
Questo riso infatti, come avevamo avuto modo di raccontare anche qui, è frutto di un incrocio spontaneo avvenuto proprio in risaia.
Il suo fusto è alto e vigoroso e le sue radici sono estremamente robuste e profonde. Il che gli consente di attingere alle sostanze nutritive presenti sotto la superficie e di crescere anche in contesti che non utilizzano alcuna concimazione chimica (che per definizione resta in superficie).
Il Rosa Marchetti è estremamente adattabile al clima, riesce a combattere bene gli infestanti e gradisce – come accennavamo all’inizio – la coltivazione con pacciamatura verde che noi sosteniamo con convinzione come pratica ad alto contenuto di sostenibilità.
Cos’è la pacciamatura verde e come funziona
“La pacciamatura è un’operazione attuata in agricoltura che si effettua ricoprendo il terreno con uno strato di materiale. Al fine di impedire la crescita delle malerbe, mantenere l’umidità nel suolo, proteggere il terreno dall’erosione, dall’azione della pioggia battente, evitare la formazione della cosiddetta crosta superficiale, diminuire il compattamento, mantenere la struttura e mitigare la temperatura del suolo” (Fonte: Wikipedia).
Noi la pacciamatura verde la pratichiamo a partire dall’autunno di ogni anno seminando le erbe del sovescio, che scegliamo in base alle specifiche esigenze di ciascun terreno e facendo in modo di combinare sempre un’erba che nutra (una pianta azoto fissatrice) con un’erba che risulti efficace come copertura (come ad esempio l’avena).
Dopo di che le lasciamo crescere e fiorire – perché è proprio al momento della fioritura che si conclude l’azione azoto fissatrice – e solo successivamente seminiamo il Rosa Marchetti. Direttamente sulle erbe, con una semina “a spaglio” a cui poi facciamo seguire il passaggio di un rullo che permetta al seme, senza movimentazioni troppo violente, di entrare nel terreno.
A questo punto il campo viene bagnato e le erbe – che non sono adatte a vivere in acqua – iniziano la loro fase di decomposizione. Il riso invece, che non teme questo tipo di habitat e riesce a resistere anche all’azione naturalmente diserbante dell’acqua fermentata, può iniziare la sua crescita.
Un prezioso tappeto naturale
Una volta che il riso ha messo le sue prime radici (ci vorranno circa 10 giorni) l’acqua viene tolta dal campo. Questa azione si chiama asciutta di radicamento. Il campo infatti passa dall’essere sommerso all’essere umido, ed il riso radica perché deve andare a cercare il proprio nutrimento più in profondità.
Il passaggio è delicato. La pianta ha appena iniziato a svilupparsi, e non è ancora così ben ancorata al terreno da poter fronteggiare parassiti, sbalzi termici o altro. Ma il più delle volte è lei a vincere! Anche grazie all’aiuto delle erbe da sovescio, che nel frattempo, non essendoci più l’acqua, sono diventate secche. Creando una sorta di tappeto protettivo contro le malerbe, che non riescono a germogliare.
Il riso quindi radica, cresce di qualche centimetro, mostra le sue prime foglie e ci segnala che è tempo di riempire nuovamente la risaia di acqua, per non svuotarla più.
La pacciamatura verde alla prova della sostenibilità
Quello della pacciamatura verde e di tutte le micro-azioni ad essa connesse è, a nostro avviso, il metodo di coltivazione migliore in assoluto dal punto di vista dell’ecosistema.
Certo, anche lui ha delle controindicazioni. Le erbe, nel marcire, producono infatti gas metano, ma qualsiasi metodo di coltivazione produce emissioni, specialmente quello intensivo. Anzi, tecniche come aratura e concimazioni chimiche azotate, liberano nell’atmosfera grandi quantità di gas serra, tra cui il protossido d’azoto, di cui è riconosciuto il potere clima alterante.
La pacciamatura, invece, non prevede alcuna lavorazione in fase di presemina e nutre naturalmente il terreno. Quindi noi nei campi che riserviamo al Rosa Marchetti non pratichiamo nè l’aratura, né l’erpicatura e nemmeno il livellamento. Evitando l’impiego di un trattore (inquinante) e permettendo al terreno di rigenerarsi senza interferenze esterne. Coperto di erbe buone, fitto di animali e di micro organismi liberi di proliferare e di vivere tranquilli.
Il nostro non entrare in campo se non per la semina è, inoltre, un lasciapassare prezioso anche per tutti gli animali che costruiscono il proprio nido in prossimità dell’acqua – le folaghe, le anatre, i cavalieri d’Italia – e che fanno oggi così fatica a trovare il proprio posto a causa delle rive per lo più diserbate in cui tendono ad imbattersi.
Senza pacciamatura, tutto cambia
Infatti, per dirlo con le parole usate da Chiara Travisi e Paulo A.L.D. Nunes nell’approfondimento “La biodiversità e le risaie”, “i campi grandi e spesso asciutti creano un paesaggio monotono e arido, peggiorando la qualità estetica del paesaggio risicolo tradizionale. L’assenza di siepi, alberi e canali tra i campi coltivati sottrae spazi naturali e habitat a piante (fiori, arbusti, alberi), insetti (farfalle, api), anfibi (rane, raganelle), pesci, uccelli (inclusi gli uccelli migratori) e piccoli mammiferi (lepri, porcospini). L’uso di fertilizzanti e sostanze chimiche inquina l’acqua e il suolo con effetti negativi su piante e animali selvatici. Le risaie, spesso asciutte, si comportano come ‘trappole ecologiche’. In primavera, quando sono allagate, attraggono numerosi organismi acquatici (rane, raganelle e altri anfibi) che vi si spostano per la riproduzione. Quando l’acqua viene tolta, le loro uova, larve e girini muoiono. Infine, contro ogni aspettativa, l’assenza di acqua favorisce la proliferazione delle zanzare poiché vengono a mancare gli insetti e gli organismi acquatici che le predano”.
Conclusioni
La pacciamatura ci piace e ci convince perché è la rappresentazione perfetta della connessione che unisce le tecniche di coltivazione al valore della risaia come habitat da preservare. È un approccio che mette al centro le piante, e le eleva non solo a fine ma anche a mezzo irrinunciabile. A protagonista indiscusso. Capace di nutrire un sistema che è impregnato di vita e davvero, davvero sorprendente. Anche per chi lo osserva ciclicamente da tanto tempo.